PER LA GIORNATA DEL RICORDO

Ho ricordi vivissimi dei miei nonni e della piazza di Marzana, in provincia di Pola, dove abitava mia nonna materna Lucia Gonan in De Prato, rimasta sola dopo l’arresto del nonno e dello zio Antonio che, allora, aveva solo 16 anni. Era il 1944. Il nonno venne gettato nella foiba  e lo zio venne fatto prigioniero; venne rilasciato 16 anni più tardi, anche perchè la nonna non si perse d’animo e fece tutto il possibile per ottenere la sua scarcerazione.

La nonna e lo zio andarono a vivere a Savona per alcuni anni, poi zio si sposò e decisero di emigrare in Canada e raggiungere così l’altra zia.

I miei nonni paterni, Maria Zatella in Drusetta e Antonio Drusetta, rimasero a Marzana. I tedeschi avevano ucciso il loro primogenito che era sposato ed aveva tre figli: due maschi ed una femmina, di questi, mia cugina Zora è ancora in vita, mentre i fratelli sono morti. I miei nonni, Maria e Antonio, rimasero a Marzana fino alla loro morte e non videro più gli altri tre figli: Giovanni, mio padre, morto qui in Adelaide il 29 agosto del 1992 a 82 anni, mio zio Antonio, anche lui è morto 6 Giugno 2006 aveva 87 anni e zia Anna e morta il 19 Aprile 2014 aveva 93 anni.

La mia famiglia fuggì da Pola nel 1945 e si fermò a Trieste dove abbiamo vissuto per un anno circa in un albergo di piazza Goldoni. Mamma mi raccontava che avevano portato del sale da Pola, sale che in quei tempi a Trieste non si trovava, e questo ci ha permesso di vivere per un anno.

Mamma mi raccontava che i miei genitori mi avevano lasciata con la nonna a Marzana per non so quale motivo, (avevo 4 anni e mezzo) ma per tornare a prendermi, lei ha avuto delle difficoltà, perchè non aveva un lasciapassare o “propustnica”, come si chiamava in serbo-croato, ma, alla fine in qualche modo è riuscita ad ottenerlo e così abbiamo potuto riunire tutta la nostra famiglia.

Ricordo molto bene le notti e i giorni in cui si sentivano le sirene del coprifuoco e noi che si correva verso il rifugio.

Ricordo, poi, quel giorno in cui ci stavamo dirigendo verso Como, dove mia zia Ida , sorella di mia madre, ci stava aspettando.Noi viaggiavamo su un camion militare, ad un certo punto udimmo la sirena dell’allarme, balzammo tutti fuori. Papà prese me e mia sorella sotto le braccia, come due pacchi e corse in cerca di un riparo, mentre mia madre  terrorizzata si rifugiò sotto uno dei camion. Ricordo che mia sorella, mio padre ed io eravamo stesi per terra. Mia sorella, ad un tratto disse a mio padre: ”Andiamo via di qui!” e papà ci fece spostare da li. Quando tutto si calmò, ritornammo verso il camion, ci accorgemmo, così, che nel posto dove noi ci eravamo stesi per terra la prima volta, era caduta una bomba e aveva scavato una buca enorme. Mia sorella aveva avuto un presentimento e questo ci aveva salvato.Anche mia madre era salva; dove c’era il camion sotto il quale lei  si era nascosta, per fortuna, non lo avevano bombardato.

Da quel momento ricordo solo vita nei campi profughi..Bagnoli, San Antonio, Aversa, Cinecittà ed infine Mantova …5 anni passammo nei campi profughi!  L’UNRA ci diede un po di indumenti, coperte e cibo.

A Mantova feci la Comunione e la Cresima, ricordo anche il prete, Don Vareschi, il quale scrisse un inno per noi profughi che poi noi si cantava alla domenica. “Profughi siamo …figli del dolor, senza casa e senza focolar…”

Non ricordo altre parole. Sto cercando di avere la musica e le altre parole per portarle al nostro parroco in Australia.

Mio padre ebbe un’offerta (credo di 50.000 lire)… non so se dall’UNRA o dal Governo, per lasciare il campo profughi. L’aiuto del caro signor Viani, a Mantova,  che ci ospitò nella soffitta della sua casa, ci fece decidere di accettare. Il governo, in seguito, ci offrì di emigrare in uno di questi Stati: Perù, Venezuela o Australia. Papà decise per quest’ultima… perchè non l’aveva neanche mai sentita nominare e decise di provare, non rendendosi conto della grande distanza.

La vita in Australia fu dura! All’inizio ci trattarono veramente male!

Gli australiani avevano ribrezzo di noi, ci disinfettavano ovunque si arrivasse e, ricordo, che ci facevano vedere dei film sull’igiene … ma… non avendo interpreti non capivamo quasi niente… ma, per loro, d o v e v a m o   c a p i r e !!!   Quindi, solo perchè non capivamo la lingua, ci trattavano da gente ignorante.

Ci sarebbero tante storie di incomprensioni e di umiliazioni da raccontare !!!

Dopo un anno che eravamo qui in Australia, una pressa della Kelvinator, dove lavorava mio padre, gli cadde sulla mano sinistra, e lui perse 4 dita. Noi non si conosceva la lingua e neanche le leggi australiane.Mio padre venne convinto a non fare causa e lo risarcirono con pochi spiccioli, …non solo, …alla prima occasione lo licenziarono!!!

Non potevamo comprarci una casa perchè dovevamo prima ottenere la cittadinanza e per questo dovevamo essere residenti da cinque anni in Australia e inoltre dovevamo rinunciare alla nostra cittadinanza italiana.

I campi profughi, qui in Australia, non erano attrezzati per riceverci… si dormiva in dormitori… o… dovrei dire più precisamente in baracche di lamiera, separati da pareti… che in effetti erano delle coperte… tutti assieme… uomini, donne e bambini. Papa’ dovette andare lontano per lavoro, tornava  a casa ogni due ore o tre mesi.

Ci spostarono da Bonegilla a Mildura e poi a Woodside Camp… ma per noi non faceva differenza, anzi si stava peggio… e continuavamo a non capire la loro lingua.

Io cominciai ad andare a scuola a Woodside Camp e dovetti presto fare da interprete ai miei. Dopo un anno nacque la mia sorellina Mercedes ed io dovetti  badare a lei e all’altra sorellina di 3 anni, perchè mia madre e l’altra mia sorella di 17 anni lavoravano. Io avevo solo 11 anni !!

Di storie ce ne sarebbero da raccontare tante e non belle! Storie che hanno lasciato in me delle ferite che non si rimargineranno mai.

Gli australiani continuavano a farci capire che non eravamo i benvenuti… e ogni fatto spiacevole che accadeva..lo addossavano a noi…

Ci sono voluti molti anni prima che ci accettassero… ma, ancora oggi rimaniamo i nuovi australiani… e qualcuno ci chiama “bastardi”… però… sono stati gli italiani a fare le strade, a costruire le case e i palazzi, a portare la moda, i mobili…. i ristoranti la pizza, la pasta, il caffè… insomma, per lo sviluppo dell’Australia, gli italiani hanno fatto molto e in ogni cosa c’è il segno del nostro valore.

Mirella Mancini OAM

(inviata ad Australia Donna, Febbraio 2019)