Rosa Filosi

La nostra famiglia comincia la sua storia di approdo verso l’Australia a Melbourne negli anni Cinquanta quando mio padre, originario di Caulonia Superiore in provincia di Reggio Calabria, era venuto da solo.  Dieci anni dopo era tornato al suo paese per trovare l’amore.  Da coppia sposata, i miei genitori sono venuti in Australia nel 1962.    Nel ’64 e’ nata la mia sorella maggiore Caterina, poi sono arrivata io due anni dopo, seguita da Roma nata nel ‘68.  I miei si erano stabiliti a Melbourne.  Mio padre lavorava presso il comune e mia madre faceva la sarta.  Nei primi anni si sono trovati molto bene, la vita era abbastanza tranquilla.  Gli zii di mia madre erano emigrati andando a vivere nell’entroterra di Sud Australia, a Winkee per la precisione.  Erano agricoltori.  Trovandosi in bisogno di altre braccia hanno chiamato i miei a ricongiungersi a loro.

Mia madre, in cuor suo voleva che fosse rimasta nella prima citta’ di approdo.  La grande metropoli di Melbourne rappresentava il nuovo, era abbastanza diversa da poter sostituire il suo paesino di origine e per cui ne valeva la pena fare questo cambiamento radicale di vita.  Il paesino cominciava ad andarle stretto.  E’ un tipico attegiamento di chi vuole cercare nuove avventure.

Dopo un breve periodo nella Riverland, hanno venduto la fattoria.  Trasferitisi ad Adelaide, e’ qui che mio padre e’ venuto a mancare.  Aveva lavorato presso la Holdens, la famosa casa di costruzione d’automobili australiane, presso la quale tanti migranti italiani hanno prestato servizio.  Ha chiuso i battenti dopo 100 anni di attivita’ solo l’anno scorso.

Bene, crescendo in famiglia mancava la figura maschile per cui mi sono sentita da meno rispetto ai miei coetanei.  E’ in parte dovuto al fatto che eravamo figlie orfane di padre con una madre sola e indifesa. Percepivo mia mamma, donna capace ma ostacolata a causa della sua poca padronanza d’inglese.  Il suo rapportarsi con altri del posto era, si capisce, molto limitato e di conseguenza anche il nostro socializzarsi con altri.  Col passare del tempo avevo imparato a rassegnarmi a questa sorte di casa tutta rosa.  Con lo studio della lingua mi pareva di poter recuperare una parte di me, e della nostra famiglia, persa.  Bisogna anche dire che in Australia negli anni ‘50 e ‘60 vigeva la White Australia Policy e quindi non ci si stupisce se non abbracciasse in maniera accogliente e calorosa chi provenisse dal Sud Europa.

Si sa che la gente che lascia il vecchio paese, sa cosa perde ma no sa a cosa va incontro. E’ quindi naturale che la gente mantenga rapporti con persone della stessa provenienza e della stessa lingua, e quindi ovvio che alla fin fine ci saremmo rapportate con una stretta conventricola di pochi familiari e amici, specie collegati alla nostra parocchia.  E’ opportuno dire vivevamo il triangolo: chiesa, casa, lavoro o scuola.

Per fortuna il fratello di mia madre, Ilario con la sua famiglia, aveva deciso di venire ad abitare nella nostra citta’.  Con l’arrivo dei cuginetti,  la famiglia cominciava ad ingrandirsi e si stava un  po’ meglio.

Quando avevo 11 anni, nel 1977,  mia madre ci ha portate in Italia per trovare i parenti e conoscere la famiglia allargata, i legami di parentela e la terra delle mie origini in prima persona e non piu’ per sentito dire.  Questa esperienza da ragazzina mi avrebbe segnata per sempre perche’ molte volte penso a come sarebbero andate le cose se non avessi fatto quest’esperienza del ritorno alla madre-patria.  Col senno di poi, posso dire francamente che grazie a questo soggiorno in Calabria, avevo fatto l’orecchio alla lingua, quasi per simbiosi.  Un dono che ritengo tutt’ora straordinario e meraviglioso.  La lingua fa bene all’anima mia!

Nei primi anni ‘70 ho frequentato la scuola parocchiale in zona, St. Augustine’s, fino al settimo anno, passando poi alle superiori presso Our Lady of the Sacred Heart.  Nel 1983 ho conseguito la matriculazione, accedendo agli studi universitari.  Nel 1987 ho conseguito la aurea in lettere con specializzazione in italiano, storia e geografia .  Nell’88 dopo l’anno del diploma ero abbilitata all’insegnamento.  Mentre studiavo per diventare maestra di scuola frequentavo un corso di mantenimento di lingua, e avevo conosciuto il professore Michele Giglio presso l’istituto di TAFE.  Mi ha spronato a fare domanda per una borsa di studio che mi avrebbe portato a perfezionare l’italiano sul posto.  Vinta la borsa, ben presto ero diretta per l’Italia.  Che fortuna!  Vi ero andata da ragazzina con tutta la famiglia, ma questa volta sarei andata da sola e naturalmente sarebbe stata un’avventura senza pari.

In Italia ho scelto di studiare presso una scuola a Firenze, la citta’ della lingua per eccellenza.  Ero in caduta libera senza paletti ne’ vergogna di parlare, anzi, dovevo per forza per sopravvivere!  E’ stata una bella esperienza aprendomi soprattutto ai fiorentini in primo luogo e agli usi e costumi degli italiani, in secondo.  Tra l’altro, in linea generale li consideravo i miei ‘antenati’, e per tanto avevo il diritto di conoscere persone della stessa cultura.  In Australia non mi sentivo del tutto australiana.  Ritenevo, e ritengo tutt’ora  un contatto ravvicinato della gente e della sua storia e letteratura un tesoro perche’ il veicolo di trasmissione e di apprendimento a sua volta sarebbe stata la lingua!  Di fatto, quando studiavo la storia rinascimentale in Australia i miei relatori capivano ben poco della pronuncia di parole italiane, venendo meno nel rispetto di varie parole, nomi importanti e citta’ o posti di notevole importanza.  Quel rispetto per la giusta pronuncia l’avevo finalmente trovato li’ sul luogo del delitto, diciamo fra virgolette, dove la storia si respirava praticamente per le viuzze della citta’.  Trascorso il mio tempo in Italia, avevo capito che se tornassi in Australia e volessi una buona padronanza della lingua avrei dovuto fare salti mortali per mantenerla viva in un paese con poche possibilita’ di parlare . E’ un fatto socio economico legato ai progressi degli ultimi 50 anni in cui la lingua ha subito un cambiamento stratosferico e quindi le persone in questo paese con gli stessi livelli di istruzione, scarseggiavano.  Anche se oggigiorno in tanti arrivano in Australia non come migranti di per se’, ma come professionisti con la possibilita’ di andare e venire!  E’ una migrazione diversa da quella post Seconda Guerra Mondiale.  Ero consapevole in cosa consistesse il mio mantenimento di lingua corrente.  Mia madre diceva poi che non si smettesse mai di imparare dandosi spesso in proverbi del tipo, ‘fino alla bara sempre s’impara’, quindi non mi illudevo che la strada sarebbe stata facile.

Nei primi anni ’90 l’Australia stava attraversando un periodo molto duro nel campo del lavoro a causa dell’allora crisi economica (il crollo della banca di South Australia e della fusione degli aerei domestici di Ansett e TAA).  Quando avevo finalmente trovato un posticino in una scuola son dovuta spostarmi in un’altra citta’, addirittura in un altro stato, nel Victoria.  Dopo due anni avevo constatato che non ero proprio portata ad insegnare ai giovani ragazzi, e sono rientrata nel Sud Australia anche per i richiami del cuore.  Ancora prima di sposarmi pero’ volevo soddisfare un altro mio interesse:  la moda.  Ho intrapreso uno studio di taglio e cucito imparando le techniche sufficienti per la confezione di abiti personali e cioe’, abiti su misura.  Non avevo intenzione di mettermi in proprio.  Non mi sentivo all’altezza di mia madre.  Lei per me era la sarta vera e propria e la moda era di casa e ho voluto semplicemente avvicinarmici.

Non sarebbe diventato il mio mestiere a tempo pieno perche’ avrei dovuto impiegare altri 2 o 3 anni di studio, e sotto sotto, sentivo il bisogno di esercitare il mio mestiere di insegnante o per lo meno utilizzare la conoscenza d’italiano per cui ho speso tanti anni a perfezionare.  Due erano le scelte: o fare di nuovo l’insegnante o fare l’assistenza sociale in una casa di cura.  Tutto dipendeva dal mercato del lavoro.  Ho quindi provato la sorte lavorando per un anno presso una casa di cura intitolata, guarda caso, al santo padrone del paese di provenienza, Caulonia, Villa Sant’Ilarione. Di nuovo, ci aveva messo lo zampino il signor Giglio che mi aveva suggerito di provare a lavorare alla suddetta casa di cura perche’ avrei potuto utilizzare la lingua con i tanti residenti di lingua madre italiana.

Subito dopo sono arrivate le nozze e due anni dopo un figlio.   Avevo deciso di smettere di svolgere quel lavoro dedicandomi alla famiglia.  Passati altri due anni e si era aggiunto il secondogenito, poi la terza successivamente e la famiglia era al completo.  Dopo 12 anni di fare la casalinga sono rientrata nel mondo del lavoro remunerato trovando un impiego presso la Filef.  Quest’ultimo e’ un ente non profit fondato da Carlo Levi appunto per gli italiani residenti all’estero.  Il fondatore mise su questa associazione con lo scopo di dare opportunita’ agli italiani immigrati in nuove terre di imparare e mantenere la lingua italiana.  Guarda caso era la mia grande passione e sono finita proprio li’ dove la lingua e’ elogiata come elemento indispensabile per chi lascia il territorio nazionale non volendo fare un taglio netto con la terra d’origine.  Mi pareva una scuola fatta su misura.

E’ stata una sfida perche’ non avevo mai insegnato ad adulti, una bella fetta dei quali sfiorava la terza eta’.  Nonostante le prime incertezze e tentennamenti, ma visto il mio percorso professionale, mi sono buttata a capo fitto rimanendovi per 10 anni.

Una cosa che ho imparato da quest’esperienza e’ che nonostante le tante difficolta’ a cui vanno incontro gli adulti per motivi relativi alla memoria e alla pronuncia, l’entusiasmo puo’ sopperire alle dette difficolta’.  Chi si avvicina allo studio in questa fascia d’eta’ solitamente ha alle spalle una propria esperienza di viaggi ed e’ un gran conoscitore della storia quindi e’ ben disposto a persistere e a perseverare nello studio. Non posso che affermare che avevo davvero un pubblico in pugno.

La mia ormai lunga storia con la lingua non era finita li’.  Ho fatto un po’ di radio assieme a due professori dall’Italia che hanno fatto uno stage qui diversi anni fa.  Hanno prestato servizio presso due universita’ di prestigio per la lingua, ma anche per perfezionare la loro conoscenza d’inglese.  Un’altra indubbia bella esperienza di arricchimento che non dimentichero’ mai.  In piu’, ho fatto ritorno in Italia quattro anni fa in cui ho anche assistito ad un matrimonio che mi ha fatto notare le differenze tra quelli che si fanno Down Under e quelli in stile italiano, ed e’ stato davvero istruttivo!

Adesso lavoro come sorvegliante di esami in lingua inglese per stranieri.  Mi sento molto appagata lavorando con persone per cui l’inglese non sia la lingua madre, per motivi legati alla mia crescita in questo paese. Benche’ non insegnassi attualmente, non trascuro mai la lingua. Faccio parte di un coro di canti folkloristici e sono attiva nella mia comunita’ per mezzo della mia parocchia facendo visita a tanti anziani costretti a stare a casa perche’ impossibilitati.  Faccio anche del volontariato in zona, come cuciniera alla mensa per la comunita’ italiana.  Il ritrovarsi insieme attorno alla buona tavola e’ qualcosa a cui l’italiano medio trovi difficile rinunciare!

A questo punto giova ripetere le famose parole dello scrittore Manzoni, che era milanese.  Diceva che, per tenere aggiornata la lingua bisognava tornare di tanto in tanto a Firenze per ‘lavare i panni in Arno’.  Anche se non insegno ci tengo tanto alla lingua che non passa giorno in cui non mi ritrovi a leggere un bel libro in italiano oppure non mi sintonizzi alla radio direttamente dall’Italia, per non parlare delle tante ricette che ho a mia disposizione, tanto per fare entrare l’Italia in casa…

Al giorno d’oggi, con la pletora di social network, l’approdo in Italia quotidianamente e’ quasi garantito.  Basta fare un click ed il gioco e’ fatto.

Ringrazio AustraliaDonna per questa iniziativa che mi ha dato l’opportunita’ di dire la mia.

Febbraio 2018