Mi chiamo Angela Sambusida e sono nata il 23 giugno del 1944 in un piccolo paesino in provincia di Cremona. Sono cresciuta in una famiglia di onesti lavoratori. Eravamo 8 figli, 4 maschi e 4 femmine. Mio padre lavorava i grandi campi di frutta e verdura e mia madre curava con devozione i figli. A soli 43 anni, rimase vedova e così toccò a lei assumersi tutte le responsabilità della famiglia.
Al paese, dove la vita scorreva lentamente e nella più sana semplicità, mi ero dedicata con entusiasmo all’Azione Cattolica. Poi iniziarono le gare di catechismo, le gare per il gruppo missionario e gli anni belli della gioventù, quando noi giovani passavamo ore serene tra chiesa, scuola e corse in bicicletta su e giù per il paese. Fu a 18 anni che sentii la vocazione di diventare Canossiana missionaria: improvvisamente dentro di me avvertii la luce che illuminò la mia strada lungo il cammino della carità e della speranza. Era il tempo di lasciare la famiglia, il paesino, la culla in cui ero cresciuta con tanto affetto.
Iniziai così il noviziato a Vimercate, vicino Milano, e, dopo gli anni di formazione e alcuni anni di esperienza come insegnante a Trivero, in Piemonte, mi fu chiesto finalmente di andare in missione a Timor Est. Prima di partire verso la mia destinazione, andai in Portogallo per qualche mese a studiare la lingua. Nel 1974, lasciandomi alle spalle il Portogallo, l’Italia e l’Europa, arrivai, attraverso Bangkok, a Timor Est dopo 3 giorni di viaggio.
L’esperienza vissuta in quell’isola, anche se breve, fu bellissima, e per me fu l’inizio del cammino attraverso il quale arrivai in Australia.
La mia partenza e quella delle altre Canossiane fu affrettata dall’invasione da parte dell’Indonesia. La barbarie aveva sopraffatto l’uomo e le strade di Viqueque si mutarono in luoghi di terrore, dove la vita sfuggiva nel nulla con improvvisa violenza.
Lasciammo Baucao, sotto la minaccia delle armi e senza nemmeno il tempo di riflettere su quanto stava accadendo. Dopo solo 9 mesi di esperienza missionaria ricca di amore di Dio e di semplicità, insieme a quella povera gente, lasciai Timor Est e attraverso la Croce Rossa Internazionale arrivai in Australia.
Il primo settembre del 1975 iniziarono i miei 25 anni in Australia. Non potrò mai dimenticare le prime impressioni di questo continente così vasto, così diverso dall’Italia. Qui mi fu chiesto di continuare lo studio della lingua inglese, attraverso alcune esperienze prima con gli emigrati italiani di Adelaide, poi in una scuola del Nord Queensland tra gli emigrati che lavoravano nei campi di canna da zucchero e finalmente la missione nella comunità aborigena di Halls Creek.
A gennaio del 1985 lasciai il Queensland per recarmi a Darwin, nel Northern Territory, in preparazione del viaggio verso la regione Kimberley, nell’Australia Occidentale. Era con stupore e grande gioia che iniziavo questa esperienza che solo ora comprendo quanto grande sia stata. Quando arrivai a Halls Creek incontrai le prime persone aborigene con le quali avrei lavorato. Pensavo alle loro tradizioni, così antiche e ricche. Lugugee fu la prima persona della tribù che incontrai. Ricordo ancora sulla veranda di questa casa fatta di palafitte, dove abitavo insieme ad altre 3 suore, l’ingresso di questa anziana aborigena la quale disse poche parole e, dopo avermi guardata, col potere della sua anzianità e a nome della sua comunità, mi diede il nome dichiarandomi degna di stima e di far parte della sua tribù. Questo è molto importante per la cultura aborigena. Il nome è quello che ti fa far parte della comunità e secondo il nome che hai sei legata a diversi tipi di famiglie. Lugugee mi chiamò Ngabajarj. Così da quel primo giorno il mio nome fu Ngabajarj, sorella di Jawagli (qualsiasi persona che incontravo che si chiamava Jawagli era mio fratello e quindi si poteva instaurare un rapporto di amicizia molto forte con loro).
Questo fu il primo impatto. La seconda impressione fu che erano quasi tutti aborigeni in quel piccolo villaggio. Ci sono 5 tribù di aborigeni in quella zona e noi eravamo state assegnate alla tribù Djaru. Essi avevano una loro lingua che si stava evolvendo nella scrittura. Ben presto dovetti iniziare un cammino di inculturazione e la prima cosa che sperimentai furono i miei limiti, ma il desiderio di amarli e comprendere la loro cultura mi fece superare facilmente il lungo periodo di iniziazione. In questo periodo fui chiamata a sedermi per terra nella sabbia come loro e ad ascoltare. Uno dei consigli che il vescovo di Broome, Mons. Job Jobst, ci diede quando anni prima ci aveva convocate, fu quello di non preoccuparci nel programmare attività, ma di sederci con loro e di ascoltarli per due anni. Solo dopo questo periodo potevamo decidere cosa fare per loro. Feci tesoro di questo suggerimento e mentre ascoltavo e osservavo, pensavo al grande dono che Dio aveva fatto a questa tribù, a questo popolo aborigeno che fin dall’inizio, quando ancora non c’eravamo noi europei, avevano la credenza nello spirito, questo spirito forte, che è molto importante nella cultura aborigena: il senso del soprannaturale e della presenza dello spirito. Questo io lo scoprì molto più tardi, quando iniziai a capire come aiutar loro a capire la parola di Dio, a comprendere la creazione, a comprendere un Dio creatore che è pure presente nella loro cultura. Così compresi di più il senso della vita, il senso del rispetto, della natura, del rispetto di ogni cosa creata. Questo fu il dono grande che ricevetti dal popolo aborigeno.
In questi mesi lunghi in cui cercai di apprendere un po’ la lingua o almeno le frasi più importanti tipo “come stai”, (moonda jura vuol dire sto bene, perché moonda significa pancia e jura significa piena, pancia piena quindi sto bene).
Dopo sei mesi in questo gruppo, mi fu chiesto di andare a Darwin per studiare più a fondo la cultura aborigena. Dopo un mese ritornai con gioia cercando di capire un po’ di più i simboli, i segni che erano presenti in questa cultura così ricca. E ritornando mi soffermai a cogliere le esperienze. Erano esperienze non di parole, non di grandi avvenimenti perché le giornate erano lunghe e calde e la situazione non era di grande attivismo, ma di una presenza semplice che sa cogliere l’altro come dono e sa rispondere a secondo dei loro bisogni.
I quattro anni a servizio di questa tribù Djaru di Halls Creek hanno lasciato in me un profondo senso di rispetto e gratitudine per la vita e la natura che mi circonda. L’esperienza vissuta nella regione Kimberley ha creato in me una sensibilità diversa nel vedere e vivere segni di positività e speranza. Sento più profonda la presenza dello Spirito, (che noi chiamiamo Dio) che mantiene ed anima tutto il creato. Le storie e corrobories (danze) degli aborigeni danno testimonianza della loro ricchezza spirituale di cui io ho avuto la fortuna di conoscere ed apprezzare.
Chiamata nel 1989 a svolgere il mio servizio nel campo dell’Educazione Religiosa nelle Scuole Statali di Darwin, potei usufruire della mia esperienza nell’avvicinare famiglie aborigene, molto numerose nel Territorio del Nord.
Dopo cinque anni mi fu chiesto di ritornare ad Adelaide, nel Sud Australia. Qui offro gratuitamente quanto ho ricevuto nei miei 25 anni d’esperienza in questo vasto continente.
Guardo con speranza al futuro implorando lo Spirito affinché guidi i miei passi, mentre partecipo la mia esperienza a coloro che mi stanno accanto, convinta che sia nel ‘here and now’ (qui ed ora) che siamo chiamati ad un forte impegno d’integrazione.